Apprendisti stregoni
Il Paese in mano alle nuove destre.
La sinistra sull’orlo del precipizio.
di Dario Ledri
Salvini-Di Maio, Di Maio-Salvini. Di Maio-Salvini, Salvini-Di Maio. E poi più nulla. A onor del vero ci sarebbe anche un presidente del Consiglio, tale Giuseppe Conte, professore universitario scovato dalla Casaleggio Associati per il ruolo di premier, che purtroppo si è rivelato per quello che è: un fantasma, un ectoplasma, uno che chiede permesso a Di Maio in diretta tv se può dire una certa cosa dai banchi del Governo che presiede, ricevendone in risposta un secco “no”. Insomma, “un utile idiota” come è stato definito sulle pagine di un quotidiano nazionale, che si è offerto – se non fosse stato premier – in qualità di avvocato difensore di Salvini. Per il resto nulla, ma proprio nulla: quando lo spread era salito a 320 punti non una parola; allorchè Salvini sequestrava 144 persone per cinque giorni su una nave italiana in un porto italiano silenzio di tomba; sull’incontro tra il leghista e il premier ungherese Orban nulla ha visto e sentito,; sull’indecoroso balletto sui vaccini non una parola. E intanto sono passati 120 giorni dall’insediamento del governo gialloverde con le sue mirabolanti promesse.
Sul rimpatrio di 500 mila clandestini è meglio stendere un velo pietoso. I rimpatri ammontano a 1450 al mese a fronte degli oltre 1700 del dicastero Minniti. Gli sbarchi – è assolutamente vero – sono diminuiti dell’80% rispetto a luglio e agosto 2017 ma nell’anno precedente la diminuzione era stata del 78% sempre grazie al tanto (anche a sinistra) vituperato Minniti. In compenso e grazie alle direttive del Ministro dell’Interno tese a ridurre drasticamente i permessi di accoglienza a migranti in fuga da guerre e carestie sono aumentati gli irregolari e i clandestini che vagano per l’Italia. Però oggi, in attesa della riforma della legittima difesa che legalizza lo “sparo libero” se minacciati in casa e “nelle pertinenze” , è più facile acquistare armi da guerra. Un K47-Kalasnikov non si nega a nessuno.
Per parte sua Gigino DI Maio, il vicepremier che vanta quale esperienza lavorativa di rilievo l’attività di steward allo stadio San Paolo di Napoli, dopo aver definito l’accordo stilato dal precedente governo sull’Ilva di Taranto un “delitto perfetto” in forza di un decreto, a sentir lui, illegittimo per l’Avvocatura di Stato, che però si è guardato bene dal rendere pubblico come aveva promesso, subito dopo – e fortunatamente, per il lavoratori dell’acciaieria tarantina – ha siglato l’accordo con la nuova proprietà che ricalca quasi in fotocopia le intese convenute con il ministro Calenda.
In attesa del varo della manovra finanziaria che dovrà da subito fare i conti con un rallentamento dell’economia e con la sterilizzazione dell’aumento dell’Iva che da sola impegna 12 miliardi; con le conseguenze dell’innalzamento dello spread che – sia pur sceso dal 320 a 220 punti base resta in ogni caso sempre di oltre 100 punti superiore a quello ereditato dal governo Gentiloni – che costa agli italiani 1 miliardo solo per il 2018, il “reddito di cittadinanza” tanto caro ai 5 stelle e all’elettorato meridionale diventa, secondo il Ministro dell’Economia Giovanni Tria, di fatto una integrazione estensiva del “reddito di inclusione” (Rei) del governo di centrosinistra. Per la “flat tax” al 15% o (20%), cavallo di battaglia della Lega, se ne riparla nel 2019 e solo per professionisti e autonomi con un fatturato fino a 100 mila euro. Guarda caso, proprio per quelle categorie che costituiscono il grande buco nero dell’evasione fiscale.
Per la cancellazione, riaggiornata in revisione, della legge Fornero il governo gialloverde non trova al momento la quadra, per dirla con Bossi. Sulle cosiddette “pensioni d’oro”,scese nel frattempo da 5mila euro a 4 mila euro mensili, l’Ufficio di Presidenza della Camera ha votato un provvedimento che presta il fianco ad una marea di ricorsi mentre il Senato per il momento tergiversa, così come tergiversa il Governo dibattuto tra un taglio drastico basato su una azione retroattiva riguardante anzianità contributiva ed età pensionabile e l’applicazione di un già sperimentato contributo di solidarietà.
Insomma, ben oltre la soglia dei fatidici 100 giorni dall’insediamento l’ammucchiata giallobruna ha prodotto ben poco di quanto aveva promesso al suo elettorato. Fortunatamente, occorre dire. Ben altro sarebbe stato lo scenario se si fosse data attuazione alle prime mirabolanti dichiarazioni programmatiche dei due “apprendisti stregoni”. L’attesa ora è tutta per la manovra autunnale che dovrà dar corpo e contenuti al documento di programmazione economica per il 2019. L’attenzione dei mercati internazionali, quelli che finanziano il nostro debito pubblico, sarà rivolta all’azione del Ministero dell’Economia Giovanni Tria sperando che riesca a tenera ben dritta la barra del timone dei conti pubblici. E noi speriamo … che ce la caviamo.
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Fermo sul bordo del precipizio, resta da chiederci cosa intende fare per sé, e soprattutto per il Paese, il Partito Democratico. L’elaborazione del lutto non può essere a tempo indefinito e soprattutto non deve essere ipocrita. La sconfitta, anzi, le sconfitte sono state tante, ripetute e senza attenuanti per un intero gruppo dirigente. Se in quattro anni si è passati dal 40 al 18% non c’è giustificazione che tenga per non richiedere un ricambio totale del gruppo renziano e della sua strategia politica. Non perché ha sbagliato tutto ma perché ha sbagliato tanto, tagliando il legame storico con le rappresentanze del lavoro operaio (si pensi al sindacato e – di contro – all’esaltazione della modernità imprenditoriale rappresentata dal modello Fiat) e del lavoro intellettuale (il mondo della scuola); privilegiando i diritti civili con risultati sicuramente positivi ma dimenticando quasi del tutto i diritti sociali; non accorgendosi del disagio crescente dei i ceti popolari che vivono nelle periferie degradate e impoverite dalla crisi a stretto contatto con il mondo degli ultimi; incapace di dare prospettive credibili ad una intera generazione di giovani costretti al precariato a vita o all’emigrazione.
Credo che da qui occorra ripartire per ricostruire un rapporto di fiducia con quel vasto “popolo della sinistra” oggi disincantato, disilluso e frastornato dalle continue lotte correntizie di un ceto politico autoreferenziale. Si faccia allora il congresso senza ulteriori remore e rinvii, un congresso che non deve “rottamare” nessuno, senza peraltro nascondere le responsabilità politiche che, come quelle penali, sono personali; un congresso aperto alle esperienze maturate nella società civile, al mondo dell’associazionismo e del volontariato, agli altri soggetti politici del centrosinistra e a tutti coloro che si oppongono alla deriva reazionaria leghista e all’avventurismo grillino.
Si parta dunque dal programma senza dimenticare però che oggi al centrosinistra serve anche un leader che sappia esercitare la “connessione sentimentale” con il suo popolo, un leader che sappia coinvolgere e non escludere, un leader che sappia contrastare la fascinosa attrazione esercitata sulla gente da Matteo Salvini.
In questa prospettiva credo ci sia posto per tutte le persone di buona volontà. E dunque non resta che rimboccarsi le maniche e augurarci buon lavoro.
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