Published on Agosto 26th, 2022 | Agostino Colla
0Lunga vita al Parco Basaglia
di Sonia Kucler
L’odierno parco Basaglia è il punto d’arrivo di un’evoluzione lunga più di un secolo. Tutto inizia nella seconda metà dell’Ottocento con l’urgenza di trovare un luogo in cui riunire i malati mentali della provincia, corrispondente allora alla principesca contea di Gorizia e Gradisca nell’impero austro-ungarico, sparsi nei fatiscenti ospedali goriziani. Tra gli intenti, i progetti e la realizzazione passeranno molti decenni e solo nel 1908 si concluderà la costruzione del manicomio provinciale, l’irrenanstalt “Franz Joseph I.”. Ma i malati vi alloggeranno solo per pochi anni, le battaglie sul fronte italo-austriaco della prima guerra mondiale ne costringeranno la chiusura tra il 1915 e il 1916; verrà poi ricostruito nel regno d’Italia e re-inaugurato nel 1933.
Immaginiamo di essere all’inaugurazione del 16 febbraio 1911: nell’ingresso principale si affollano i calessi da cui scendono i notabili della città, tutti vestiti di nero con lucidi cappelli a cilindro. La via di accesso si chiamava allora via di San Pietro, a est il confine con il comune di San Pietro, a meridione aperta campagna. L’area, posta nel borgo san Rocco, venne scelta per la fertilità del terreno, la posizione al riparo dai venti e la disponibilità d’acqua, condizioni favorevoli specie per la colonia agricola di cui l’ospedale disponeva. “Varcato il cancello di ingresso, attraversando un vasto piazzale coltivato a giardino, si trova l’edificio dell’Amministrazione. Nel mezzo è un vasto parco dell’estensione di un ettaro di terreno, intersecato da sinuosi viali. A ciascun lato del parco sorgono, circondati da giardini e da siepi sempre verdi, tre padiglioni, destinati a ciascuna delle due sezioni del manicomio, maschile femminile”, così inizia la presentazione del manicomio di Gorizia pubblicata da tre insigni medici italiani in una relazione sugli ospedali psichiatrici edita a Torino nel 1918.
Ma quali sono gli elementi originari visibili ancora oggi? Molto più numerosi di quanto si immagini, a cominciare da alcuni edifici storici, dai giardini ornamentali, dalle piante secolari sopravvissute, dalle recinzioni, dai tracciati carrai, dalle zone agricole, da alcune strutture industriali.
La cittadella sanitaria delle origini ha attraversato negli ultimi quarant’anni periodi di progressivo abbandono e caotica gestione causa lo spezzettamento della proprietà tra diversi gestori e nuove funzioni oltre a quella sanitaria. Asugi, Regione FVG, ERPAC, Comune di Gorizia e UTI Collio-Alto Isonzo (ambedue eredi dell’ex Provincia di Gorizia) sono oggi i decisori dei destini del parco Basaglia. Ma oggi siamo alle soglie di una nuova era, quella in cui si dovrebbe realizzare il Progetto di rigenerazione urbana in chiave storico/culturale del parco Basaglia promosso dalla Regione FVG già dal 2017 sotto la regia dell’ERPAC vista la valenza culturale dell’operazione, i cui elaborati sono da pochi mesi accessibili ai cittadini dopo la firma del protocollo d’intesa da parte di tutti i proprietari. Ben venga quindi, dopo quarant’anni dalla legge che chiuse i manicomi, trovare una soluzione soddisfacente che ridia valore a questo “luogo dimenticato” ma senza alterarne, a mio parere, gli storici punti di forza e le valenze paesaggistico-ambientali. Proprio perché si apre un nuovo capitolo sarebbe importante approfondire le origini di questo complesso sanitario che ricalcava un modello realizzatosi negli stessi anni a Vienna, a Trieste e ad Udine, il modello “a colonia agricola” con padiglioni disseminati e circondati da ampi spazi di verde, in cui gli ammalati “tranquilli” potessero svolgere attività lavorative ritenute valide per il recupero secondo i dettami della terapia ergonomica, innovativa ma già sperimentata in Europa, tendente ad eliminare i sistemi costrittivi e di isolamento pur mantenendo la struttura una netta separazione con la comunità civile.
Il progetto fa un’analisi accurata delle eredità storiche e culturali che l’ex manicomio porta con sé nell’oggi, personalmente vorrei porre l’accento su due specifici elementi di continuità: uno economico e l’altro terapeutico. Economico: l’irrenanstalt, insediatosi in un’area da secoli vocata all’agricoltura che allora era la principale fonte di ricchezza della Contea, e poi il successivo ospedale psichiatrico italiano agirono in continuità avendo il loro perno dichiarato nella colonia agricola.
Terapeutico: oggi l’Azienda sanitaria (ASUGI) continua a promuovere la terapia occupazionale (già ergoterapia) e a prediligere il lavoro nei campi come farmaco e cura, anche se in forma ridotta rispetto al passato, visto che sette ettari del comprensorio sono gestiti da diversi anni dalla “Comunità terapeutica La tempesta” a cui sono affidati una decina di pazienti che realizzano coltivazioni orticole e floricole biologiche, anche di varietà locali pregiate.
Un terzo elemento di continuità, più recente, è quello paesaggistico-ambientale poco menzionato nel progetto: lo stato attuale delle aree a verde ornamentale mostra una naturale evoluzione biologica con un considerevole aumento della biodiversità e della fertilità dei suoli specialmente nelle aree del giardino storico, come già evidenziava nel 2010 la scheda Sirpac (servizio di catalogazione regionale). Sono proprio queste le zone del parco che oggi attraggono il visitatore e offrono ombra e relax perché ancora caratterizzate dai sopravvissuti grandi alberi di inizio ‘900, da un profluvio di piante inserite in epoche successive e da una notevole quantità di cosiddette infestanti (soprattutto allori, laurocerasi, ligustri). L’abbattimento recente della rete che divideva la proprietà dell’ex Provincia da quella di ASUGI ha accentuato in positivo questa evoluzione paesaggistica spontanea creando agli occhi di chi transita nuove prospettive da “giardino all’inglese” che andranno perse nel momento in cui verrebbe operata una “cernita e selezione degli esemplari da conservare e valorizzare”, come dice il progetto, troppo rigorosa e il ripristino in “cemento drenante” dei vialetti, oggi piacevolmente illeggibili perché ritornati allo stato naturale.
Se cogliamo nella componente vegetale il migliore risultato paesaggistico e terapeutico dell’irrenanstalt, un progetto di restyling che si realizzi oggi dovrebbe usare occhio acuto e mano delicatissima nei riguardi del patrimonio vegetale ereditato. Per il masterplan di progetto “il parco va considerato come il succedersi caotico ed estemporaneo di scelte fatte da chi, a vario titolo e nel corso di decenni, ha gestito il verde del ex manicomio di Gorizia: all’iniziale rigore e schematismo asburgico di inizio ‘900 sono seguiti piantumazioni, abbattimenti e interventi che hanno modificato e reso estremamente disomogeneo il linguaggio di quest’area”. Ma il progetto terrà conto soprattutto degli impianti arborei succedutisi nella seconda ricostruzione degli anni ‘30, facendo anche riemergere l’uso aperto che del luogo ne volle fare Franco Basaglia negli anni della sua direzione (1961-1969). Gli interventi di progetto “ garantiranno un aumento del livello di sicurezza all’interno del parco e dovrebbero riportare ad uno stadio pre-crisi il popolamento arboreo, garantendo energia e volumi alle piante di pregio, in armonia con l’edificato e le piante che si andranno a mettere a dimora”. Quindi tagli ma anche consistenti rimpianti.
Il BAS è senza dubbio uno strumento importante per risollevare le sorti dell’ex manicomio, se ridarà valore e nuove funzioni agli edifici a tutt’oggi non utilizzati, se genererà divulgazione della storia dell’ex psichiatrico e dei suoi preziosi archivi, se saprà creare punti di aggregazione e di ristoro che valorizzino la fruizione del parco e diano opportunità lavorative alle persone con disturbo mentale. Ma tutto questo deve trovare la sua cornice ed un punto di equilibrio nelle aree verdi e di campagna che sapientemente andranno recuperate e riprogettate (per cui ERPAC andrà a spendere circa cinque milioni di euro) ma non diminuite. Il masterplan contempla l’inserimento, anche nel parco storico centrale, di diversi percorsi pedonali sia a ripristino di quelli preesistenti sia di nuova progettazione (fino a due metri e mezzo di larghezza) oltre ad una pista ciclabile con l’utilizzo del “cemento drenante” al posto dello storico ghiaino per un risparmio sui costi della manutenzione futura, a carico dei proprietari e soprattutto di ASUGI, cosa su cui varrebbe la pena riflettere. Inoltre la già consistente quota di superfici stradali asfaltate presenti nella cittadella (v. scheda specifica di progetto) verrà ulteriormente incrementata con nuovi parcheggi, anche se in tutti sono previste alberature che però ombreggeranno solo nel medio-lungo periodo. Aggiungiamoci gli innumerevoli previsti materiali di arredo, panchine, cartelloni, padiglioni, trasformazione dei prati. In più la realizzazione, in corso d’opera, del “Centro di salute delle donne” promossa da un progetto Interreg Slovenia-Italia e partecipato da ASUGI e GECT che ha già sottratto terreno libero per l’apertura di un nuovo accesso. Riflettiamo quindi sulle perdite di suolo già avvenute a partire dagli anni Ottanta causa lottizzazioni e impieghi diversi: ad ovest si aprì una strada e si costruirono numerose ville a schiera, nella campagna a sud si edificò una palestra scolastica con annesse aree sportive e parcheggi; successivamente a est si edificò una seconda palestra con pedana esterna per il basket; da ultimo un vasto parcheggio privo di alberature venne allestito a fianco delle serre. Tutto ciò ha decisamente sottratto carattere, continuità e organicità alla struttura. Continuare a rosicchiare suolo è poco logico innanzitutto perché soprattutto le aree di verde storico caratterizzano il parco Basaglia e ne sono un patrimonio in termini ecologici, ambientali e paesaggistici, un inaspettato ritorno spontaneo alla buona terra per eccellenza, con una serie di interessanti relazioni tra flora e fauna che chi attraversa in silenzio il parco nota: lepri, scoiattoli, svariate specie di uccelli. Un libro aperto sulla rigenerazione del suolo da leggere con attenzione e rispetto. Soprattutto se essa sta sotto il materno ombrello di un ente sanitario, per definizione motore di cura e guarigione. Secondariamente, un progetto di “rigenerazione urbana” opera come potenziamento della sostenibilità, rigenerazione è infatti un termine entrato di recente nell’urbanistica proprio a tale scopo. Quindi il consumo di nuovo suolo pare contraddittorio, semmai la sua finalità sarebbe rigenerare suoli già compromessi. Ma poiché il masterplan di per sé non è un progetto definitivo, suppongo ci siano ancora margini di discussione e modifica. Qui però entriamo in scenari complessi sul restauro dei giardini storici (il parco lo è), sul bisogno/desiderio di soddisfare la fruizione pubblica, sui desiderata dei committenti…Complessivamente e a distanza di più di cento anni dalla prima pietra dell’irrenanstalt “Franz Joseph I.” è innegabile che l’impostazione delle aree a verde delle origini si è dimostrata un’idea vincente che continua a produrre benessere estetico e salute per la città e per gli utenti bisognosi di cure che possono godere delle forme, dell’ombra, del paesaggio e delle opportunità ideate dagli antenati.