Published on Marzo 5th, 2023 | Agostino Colla
0Un libro sorprendente
Continuando nelle sue ricerche sulla presenza della Guardia di Finanza sul nostro territorio Michele Di Bartolomeo ha scritto un libro sorprendente, documentatissimo, con centinaia di fotografie in bianco e nero e a colori, immagini con ritagli di giornale, grafici, carte geografiche e topografiche riprodotte minuziosamente. Il libro si intitola “DIMENTICATE CASERME D’ORIENTE – Luoghi della Regia Guardia di Finanza sul confine italo-jugoslavo (1920-1941) – Edizioni LEG, Pagine 499, Euro 28.
Sulle prime può sembrare un libro che tratta un argomento a livello specialistico, militare, riguardante la Guardia di Finanza, ma quando lo si sfoglia e si comincia leggere qua e là ci si rende subito conto che esso contiene informazioni storicamente molto preziose sul nostro confine “dimenticato”: quello fra i Regni d’Italia e Jugoslavia in vigore per 21 anni dal 1920 al 1941, il cosiddetto “confine di Rapallo” (città dove venne discusso e firmato). Il confine che correva dalla zona di Tarvisio, a quella di Postumia, fino a Fiume, i cui resti (cippi, caserme, ecc.) oggi si trovano in Slovenia e Croazia. Ciò che colpisce è l’accuratezza, la precisione, con cui Di Bartolomeo (laureato in cartografia) ha realizzato le carte e le cartine geografiche. Fino a che poi, continuando nella lettura, si arriva ai diversi racconti di episodi storici drammatici come quello riguardante i finanzieri Cesare Rastelli, Domenico Tempesta, Giuseppe Manca e diversi altri. Finanzieri che dovevano spesso fronteggiare gli attacchi violenti degli appartenenti alla formazioni politiche jugoslave Orjuna e TIGR (Trst, Istra, Gorica, Rijeka).
Da molti anni Michele Di Bartolomeo è attivo collaboratore di Isonzo Soča e lo dobbiamo ringraziare particolarmente per il suo recente lavoro di archiviazione del nostro giornale.
Qui di seguito pubblichiamo l’introduzione al libro con delle foto e alcune sue considerazioni.
Introduzione a “Dimenticate caserme d’oriente”
IL FAR EAST ITALIANO
Michele Di Bartolomeo
La storia a volte genera parentesi che per la loro brevità costituiscono quasi delle anomalie temporali in netta rottura con ciò che c’era prima e con ciò che avverrà dopo: una sorta di realtà distopica che si sovrappone e si interseca con un territorio, modellandolo a propria immagine e somiglianza creando una bolla spazio-temporale che, all’apice della sua tensione, scoppia e si dissolve lasciando nei luoghi e nelle memorie solo rovine di un mondo che non c’è più.
È ciò che accadde tra le due guerre mondiali nei territori che questo studio ha inteso esplorare. Con la Grande Guerra l’Italia porta a termine il secolare disegno del raggiungimento dei suoi confini naturali inglobando a scapito dello scomparso impero asburgico la provincia austriaca del Litorale e parte di quella della Carniola (oltre al Trentino e al Sud Tirolo), territori dai confini indefiniti che da qualche decennio gli irredentisti italiani hanno iniziato a chiamare con il nome coniato dal glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli: Venezia Giulia.
L’Italia, con il Trattato di Rapallo (12 novembre 1920), è totalmente racchiusa nell’abbraccio rassicurante delle Alpi. Gorizia, Trieste e le genti venete dell’Istria (e più tardi Fiume) sono ricongiunte alla patria per mezzo di un confine che corre però su un’area dove l’elemento italiano è praticamente assente. L’alta valle dell’Isonzo, la valle del Vipava, poi Idrija, Postojna e Ilirska Bistrica sono luoghi compattamente sloveni, proseguendo verso sud prevalgono quelli croati fino alle acque del Quarnero.
È destinato a diventare il far east italiano: i nuovi territori sono ostili. Ci sono genti da assimilare, anzi da civilizzare, un processo destinato a fallire. Il clima di frontiera non cesserà dunque con la determinazione del confine e gli scontri tra gli apparati dello Stato e gli allogeni caratterizzeranno questa parentesi di pace fino allo scoppio di un’altra guerra mondiale. Il titolo richiama volutamente la parola oriente, termine che nella lingua italiana ha anche l’accezione di terra esotica e lontana. In effetti, con le dovute proporzioni, anche questi territori, sebbene alle nostre porte, sono sempre stati percepiti come distanti, incogniti e a volte ostili. Forse quel senso di minaccia instillato a partire dalle invasioni barbariche fino ad arrivare a quelle, solo teorizzate, del Patto di Varsavia è rimasto nel DNA delle popolazioni di confine.
Anche oggi, ai tempi di Unione Europea, la vocazione di terra di frontiera sembra riaffiorare all’arrivo delle ultime minacce provenienti da est, lo dimostrano l’incessante flusso migratorio dai paesi in via di sviluppo e la pandemia mondiale in corso, faticosamente contrastati sulla soglia di casa con nuove chiusure del confine. È verso questo oriente che l’Italia, alla fine della Grande Guerra, cala la sua cortina di ferro ante litteram: sono dei sistemi difensivi di tipo fiscale, politico e militare che vengono abbassati uno dopo l’altro sul confine con la Jugoslavia come reticolati dalle maglie sempre più fitte. La Regia Guardia di Finanza, corpo dello Stato preposto alla vigilanza fiscale, è la prima organizzazione ad essere dotata di un sistema organico di caserme lungo il confine. Sono chiamate nel gergo tecnico del tempo padiglioni a sottolineare la loro semplicità costruttiva.
La natura di queste strutture, che dall’aspetto ricordano più degli innocui chalet di montagna che delle caserme, rispecchia forse la fiducia che si riponeva nel nuovo confine. Le cronache del tempo descrivono la vita quotidiana dei finanzieri di confine con toni naïf e carichi di ottimismo non mancando mai di sottolineare l’armonia con la popolazione locale. Ma la storia in realtà sta andando verso un’altra direzione: nei dintorni dei padiglioni, le aiuole fiorite, gli orti e le fontane lasciano il posto ad alti muri difensivi, filo spinato, garitte e nidi di mitragliatrice.
A questi si aggiungono nuove e più funzionali caserme. Altri corpi confinari affiancano le Fiamme Gialle e tonnellate di cemento sono riversate sulle montagne e nei boschi per costruire un imponente sistema difensivo fortificato che le stesse forze dell’Asse si lasciano alle spalle per invadere la Jugoslavia e dare inizio, anche su questo fronte, alla Seconda Guerra Mondiale. Quasi tutte le caserme della Regia Guardia di Finanza vengono letteralmente spazzate via dagli eventi bellici e della maggior parte di esse non rimangono che deboli tracce che oggi riaffiorano come fossili Introduzione 10 appartenuti ad un lontano e insospettabile passato. Ancor più recondite sono le lapidi dedicate ai caduti del confine rimaste tra le pieghe del territorio: dall’irrilevante incidente di montagna al delitto politico di risonanza nazionale, ognuna custodisce un tragico evento che oggi riaffiora per completare la topografia dei luoghi dimenticati.
A 100 anni dalla firma del Trattato di Rapallo questi siti – oggi oltreconfine – ritrovano un’identità: per gli sloveni e croati diventati simboli ingombranti di una presenza indesiderata, per gli italiani luoghi ormai troppo lontani prima dai propri confini, poi dalla propria storia. È significativo che l’anniversario coincida con la nomina (il 18 dicembre 2020) di Nova Gorica, con Gorizia, a capitale europea della cultura 2025. Forse questo territorio, dopo la cesura subita a Rapallo non è mai stato così unito…
Considerazioni sul mio libro “Dimenticate caserme d’oriente
Michele Di Bartolomeo
A mio parere, la conoscenza della storia della Venezia Giulia, cioè di quel territorio annesso all’Italia dopo la Grande Guerra, soprattutto da parte italiana, spesso preferisce concentrarsi:
- dal punto di vista storico: sulle due guerre mondiali
- dal punto di vista geografico: su Trieste, Gorizia, Fiume e l’Istria.
La riscoperta del “confine di Rapallo” ha quindi permesso di spostare l’attenzione, dal punto di vista storico, al periodo di pace intercorso tra le due guerre mondiali, mentre dal punto di vista geografico, alla “periferia” di questa regione, cioè quel territorio compattamente sloveno e croato, reciso dalla nuova frontiera italo-jugoslava fissata nel 1920.
Da parte italiana spesso si tende quasi a considerare quello che fu la regione della Venezia Giulia tra le due guerre mondiali un territorio uniforme dove l’elemento italiano era diffuso in maniera omogenea. Soprattutto nel resto d’Italia ho constatato che si tende addirittura a fare un’equivalenza tra Venezia Giulia e Istria.
Ma la Venezia Giulia era una realtà ben più complessa: i territori di secolare presenza italiana, cioè l’Istria e le città principali (Trieste, Fiume e Gorizia) costituivano solo una parte della regione. C’è un’altra porzione della Venezia Giulia, vale a dire il “goriziano”, imperniato sulle valli dell’Isonzo e del Vipacco, e la Carniola occidentale (con Idria, Postumia ed Ilirska Bistrica) che rispetto all’Istria e ai centri abitati principali, erano “un mondo a parte”.
Era un territorio compattamente sloveno (dove la presenza italiana era praticamente nulla) che il confine tra Regno d’Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni stabilito a Rapallo, assegna definitivamente all’Italia staccandolo di fatto dal resto della Slovenia.
Per marcare ancora di più la differenza tra le “due anime” della Venezia Giulia e soprattutto il loro rapporto con la nuova frontiera, potremmo dire che il confine del 1920, proprio per comprendere l’Istria e le città “italiane” – che di fatto ne beneficeranno – deve necessariamente farlo a discapito del territorio prevalentemente “sloveno”, che subirà così tutto il peso della storia.
Ancora, potremmo dire, che l’Italia libera dal “giogo” austriaco gli italiani, ma per farlo deve sottomette gli sloveni.
Con questo libro ho cercato di far luce, soprattutto dal punto di vista “geografico”, sul confine che ha reso possibile la stessa idea di Venezia Giulia, una periferia scomoda, a tratti oscura. Una linea di attrito che per dinamiche sociali ed ambientali aveva poco a che fare con il resto della regione. Una “cicatrice” mai rimarginata, sulla quale il c.d. “fascismo di confine” non ha fatto altro che “buttare sale”, generando tensioni politiche che poi sono deflagrate in tutta la loro violenza nelle vicende della Seconda Guerra Mondiale e dell’immediato dopoguerra.
Tuttavia, per ciò che riguarda la provincia goriziana, quell’assetto amministrativo aveva il pregio di aver conservato l’unitarietà del suo territorio, che difatti, con il trattato di Rapallo, non fa altro che passare intatto dall’Austria-Ungheria all’Italia.
Il confine del 1947 ha però irrimediabilmente diviso Gorizia (e i goriziani) dal suo storico territorio e i suoi effetti sono ancora attuali, nonostante non esista più. Ancora oggi, luoghi che per secoli hanno gravitato intorno a Gorizia, come Idrija, Podbrdo, Cerkno, Tolmino, Bovec e Trenta, sono sconosciuti a molti goriziani che spesso hanno solo una vaga idea della loro collocazione.
Un esempio eclatante è quello della valle dell’Isonzo (un corridoio naturale verso le Alpi Giulie, oggi una delle regioni alpine più belle della Slovenia) che oggi non è ancora tornata nelle mappe mentali dei goriziani. Con mio stupore quando frequento i “monti di casa”, dal Krn al Črna Prst, dal Triglav allo Jalovec, dal Vogel al Porezen, scopro sempre con grande stupore quanto siano rari gli escursionisti italiani, di gran lunga superati per numero da cechi, slovacchi, tedeschi o francesi.
È come dire che la storia abbia vinto sulla geografia….