Redazione

Published on Luglio 6th, 2023 |   Agostino Colla

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“IN QUESTO APPARISCENTE PARADISO”

Sandro Corazza

Davanti al fondale del Collio che da est, a  destra dell’Isonzo, si  apre verso nord ovest, fino al Judrio  suo naturale confine, impreziosito da borghi, villaggi, case padronali, alture punteggiate da castelli,  antichi manieri e torri, vecchie cantine, percepisci un discreto star bene di chi vive, lavora e anima questi luoghi.

Lo snodarsi di strade, sentieri, carrarecce  e percorsi  ciclabili  ci porta in mezzo a vigneti curati fino al puntiglio ed è un bel vedere. Partendo da San Floriano poi giù in basso verso Giasbana  quindi la piana del Preval, sfiorando Capriva per salire con uno strappo verso Medana e Casteldobra, mirare in lontananza San Martino di Quisca  per poi, ancora, scendere quasi a capofitto  a Vipulzano, muoversi verso Zeglo,  Novali, Plessiva, Subida e ancora Cormòns, ti trovi in mezzo ad una natura, ad un ambiente pregevoli dove anche avverti  un percepibile benessere. E te lo confermano i luoghi di ristoro, i punti di appoggio e di vacanza per i turisti, le abitazioni private con le annesse cantine piene ricolme di  ottimo vino che viaggia per tutto il mondo.

Sono passati  diversi decenni da quando il Collio è uscito da una  precarietà economica, da una situazione di lavoro in cui  i mezzadri e i coloni erano la regola, anni in cui molti abbandonavano la terra e il podere attratti dai sicuri guadagni di un artigianato e di una industria che, negli anni ‘60 del secolo scorso, si stavano rabbiosamente imponendo.

Ma ancora prima come  viveva il contadino e la sua famiglia su queste alture negli anni trenta, quaranta fino quasi agli anni  cinquanta del secolo passato? Non vuol essere domanda retorica. E per rispondere utilizziamo alcuni passaggi di articoli di un periodico degli anni ‘30 e inizi anni ‘40: “Il Rurale Isontino” organo di stampa della organizzazione sindacale di categoria.

Era il giornale per gli agricoltori, che  in alcune pubblicazioni prende una posizione forte decisa e  netta a favore dei “rurali” al fine di evidenziare alcune storture nel  binomio  “padrone-mezzadro” con il chiaro intento di modificare quel rapporto di “padrone-servo” ancora vigente e per migliorare le   condizioni   di lavoro le prospettive di vita delle persone e per il futuro di quelle terre.

L’attenzione dell’estensore dei pezzi scritti su “Il Rurale Isontino” si focalizza maggiormente su quella porzione del Collio oggi in Slovenia. Ma non dissimile era la situazione e la condizione nel restante territorio collinare oggi in Italia se nel giugno del 1943, una assistente dell’O.N.M.I. visitando in Russiz di Sopra (Azienda Hugues) in Capriva una famiglia di mezzadri che aveva in cura una loro nipote orfana, registrava : “Abitazione  scadente e mancante di mobilio”.

La casa

Esordisce  con una “doverosa” citazione l’articolista : Il Duce ha detto che ogni contadino deve avere la sua casa per poi proseguire: la casa comoda e abitabile è la base per legare il contadino alla terra.

Ed inizia la descrizione del Collio e delle sue abitazioni: in certi punti la terra stessa sembra definitivamente avvelenata e corrosa. Qua, in questo appariscente paradiso sorgono le case più strane e inabitabili. Proprio più strane e inabitabili. Alcune non sono né case né capanne.  Ma sono l’uno e l’altro insieme.

Da parte dell’organizzazione degli agricoltori ( i “rurali” come venivano chiamati in quegli anni) c’è una crescente preoccupazione per la situazione abitativa e lavorativa  sul Collio, sulla situazione igienica e di salute soprattutto dei più piccoli e il timore di un abbandono della terra a favore di un crescente inurbamento verso Straccis e Piedimonte. Scrive, infatti, il mensile nel settembre del 1940:

“…quello della casa colonica si innesta irrimediabilmente nel grande problema di legare il contadino alla terra… Qua e là in questo appariscente paradiso sorgono le case più strane e inabitabili. Chi va sul Collio crede di essere in uno dei posti più belli e ricchi della  terra. Vigneti e frutteti lussureggianti, in dolci o imbrigliate colline, ben coltivate che ti danno la netta impressione del benessere morale e materiale dei loro coltivatori. Ma è pura illusione. Sulla parte più bella del Collio è passata, anzi ha sostato per qualche anno, la più tremenda e più accanita delle guerre che l’umanità abbia combattuto.

Come ci vengono descritte queste abitazioni di mezzadri e di coloni ci pare di  venire scaraventati  in un’era abitata da “hobbit”:

Muri sconnessi puntellati o tappati con residuati di guerra. Lamiere arrugginite servono a nascondere le discontinuità del muro. Queste case, che non sono soltanto poco igieniche, ma addirittura inabitabili, contrastano maledettamente con i ben coltivati pescheti e i regolari vigneti. Quando la bora soffia ghiaccia e infernale e va a infrangersi contro le sconnesse lamiere, il pensiero di questi bravi contadini del Collio – che da vent’anni hanno le più giuste e umane ragioni per abbandonare la terra – vola alle comode e accoglienti case operaie di via Corridoni.

L’articolista, come si legge, si sofferma   sulla situazione abitativa. E non va giù leggero utilizzando un espediente retorico che contrappone la bellezza dell’ambiente naturale, le meraviglie dei suoi prodotti alle dimore di questi lavoratori descritte in maniera realistica con tinte forti e al sogno di queste famiglie che agognano la casa popolare e sperano in quattro mura sicure e confortevoli.  

Per essere più incisivi e convincenti ci si sofferma su risvolti emozionali, sui bimbi e le loro precarie situazioni di salute:

La casa poco comoda e poco solida, che non protegge i nostri piccoli  -spesso ammalati- dal freddo, che non offre riparo e ristoro ai mariti, dopo una giornata di lavoro sotto la pioggia, la bora, o il sole, può essere anche per la donna rurale il più giustificato incentivo per sognare il villaggio operaio…. La casa comoda abitabile è la base per legare il contadino alla terra. Accantoniamo per un solo istante  le case dei benemeriti piccoli proprietari coltivatori diretti. Il loro problema – ma soltanto il loro- rientra effettivamente nel complesso della situazione economica del Collio. Vediamo le case dei mezzadri, dei coloni misti e degli affittuari…

E qui arriva la stoccata finale ai  padroni mettendoli dinanzi alle loro responsabilità e la minaccia neppur tanto velata di interventi coercitivi:

Qua il proprietario della casa non è il piccolo coltivatore diretto. Ma è il medio e grande proprietario.” “….vi sono anche quelli (mezzi) coercitivi – di cui l’organizzazione sindacale di categoria in un determinato momento potrebbe servirsi – attraverso i quali può essere imposto al proprietario di rendere la casa igienica e abitabile.

Da queste prese di posizione del sindacato degli agricoltori par di cogliere una  precisa consapevolezza del ruolo e della propria forza politica da buttare sul piatto della bilancia.

Un ulteriore aspetto, non secondario, che viene elencato e determinato dalle precarie condizioni abitative,  è la ricaduta anche sulla salute dei lavoratori e delle loro famiglie numerose,  andando, così, a vanificare gli sforzi per la prevenzione e le cure sanitarie:

Assistenza di malattia, ricoveri nei preventori e nei sanatori, prestazioni antitubercolari ed altro, intesi a restituire il lavoratore sano alla Patria e al lavoro, non sortiranno i loro benefici effetti quando il lavoratore continuerà a vivere in quelle case che sono l’immediata causa di tutte le malattie. Potremo convalidare questa nostra asserzione con le tabelle della morbilità del Collio e in particolare di quelli di San Martino di Quisca. Quindi, quello delle case coloniche del Collio è un grave problema sociale che abbisogna della più rapida e fascistica soluzione.

I patti di mezzadria

Un altro grosso problema per i mezzadri, coloni, affittuari delle nostre terre, soprattutto in collina, erano i patti agrari. Annoso  problema, che sembrava avere trovato una proposta di soluzione ai tempi ormai finiti e lontani di Mons. Faidutti, ma che con l’avvento del Regno d’Italia e la presa del potere  del Fascismo, era ripiombato  in un buco nero.  Il mensile “Il Rurale Isontino” ,  con puntuale ostinazione ripropone di frequente il problema dei patti agrari. Infatti in  un suo articolo del gennaio 1941 dal titolo “Il patto di mezzadria e il Collio”  si legge:

Questo patto, mentre può andare bene per la pianura non va bene per il Collio dove è necessario un patto speciale che preveda un contratto individuale che abbia almeno la durata decennale a garantire al lavoratore una più larga e adeguata partecipazione alla produzione…..sul Collio è necessario che la proprietà riconosca che è suo motivo di vita solidarizzare in pieno sul terreno economico con il lavoro.

Un chiaro e pressante invito, quindi, alla proprietà, ritenuta, velatamente, responsabile della situazione, di farsi parte attiva  proponendo di solidarizzare con i contadini. Per poi  rincarare la dose e metter i  padroni dei fondi e tutti gli attori e responsabili politici di fronte ad una futuro prossimo  incerto per il Collio:

…si è detto che il Collio corre il rischio di rimanere, in breve volgere di anni, disabitato, dato che la corsa all’urbanesimo da parte dei suoi abitanti è più veloce di quanto non si creda..

Si punta, ancora, il dito sulle condizioni contrattuali pesanti che  costringevano i mezzadri e i coloni ad una vita grama, ad un crescente impoverimento delle famiglie, condizione  propedeutica   al concreto rischio di uno spopolamento del Collio stesso. Infatti la questione è di attualità: Il problema interessa immediatamente questi proprietari, i quali vedono annualmente assottigliarsi ( e delle forze più giovani) la composizione delle loro famiglie mezzadrili.

Si paventa il rischio di un inurbamento spontaneo e irreversibile soprattutto dei giovani: È qua la causa della sistematica e numerosissima richiesta di iscrizione al collocamento dell’industria, che preoccupa tutti gli enti interessati…

E si ribatte ancora iltema del miglioramento delle condizioni di vita, condizioni tali che invoglino il lavoratore dei campi a rimanere sulla terra, a non guardare all’operaio dell’industria come un obiettivo, un futuro desiderabile.

Oltre alle strade, all’acqua bisogna dare al lavoratore condizioni di vita tali da farlo rimanere sul Collio.”

La centralità del lavoro

Un’ulteriore  questione di pressante attualità è il riconoscimento del lavoro, di dargli dignità in quanto è ritenuto, a ragione, il solo motore dell’economia collinare. Anche se il lavoro delle vigne in quegli anni era molto faticoso. Mancavano quasi del tutto i mezzi meccanici, le macchine operatrici. Tutto a mano con molta manodopera necessaria…. “anin a rabota” borbottavano i nostri  vecchi, curvi prima del tempo.

Come altrove e più di altrove, la proprietà del Collio non è realtà economica ma esclusivamente è possibilità economica che soltanto il lavoro dell’uomo che la coltiva, traduce in realtà economica. Nessuno ha parlato del lavoro che è l’unica cosa a dare un poco di vita al Collio, a questa contrada meravigliosa…Ed allora necessita di dare al lavoro il pieno riconoscimento…

E pare che il tema del lavoro della terra resti negli angoli dei tanti propositi e progetti per queste terre:

Sulla situazione economica del Collio si è detto e scritto moltissimo, si sono fatti progetti che potremmo definire americani, si sono cercate le cause mediate e immediate di tale disastrosa situazione; si è parlato dell’acqua, delle strade, dei pozzi, delle palestre, dei dopolavoro, delle case, ma nessuno, diciamo nessun, ha avuto una parola per il lavoro.

Un ulteriore contributo, non solo al dibattito ma anche come soluzione degli innumerevoli problemi sul campo, lo si vuole dare suggerendo una strada da percorrere che è quella di responsabilizzare le proprietà, invitandole a venire incontro ai propri dipendenti:

Come altrove anche sul Collio, è soprattutto necessario che la proprietà riconosca la categorica verità che è suo motivo di vita solidarizzare in pieno con il lavoro. Al di fuori di questa solidarietà,  che deve essere continua e non contingente, non possiamo concepire per il Collio altra via di salvezza

Per dare allora dignità a questo lavoro bisogna ripartire dalle condizioni contrattuali, rivederli e riscriverli a favore del mezzadro, dell’affittuario, del colono:

Il capitolato di mezzadria e il contratto di affittanza mista per la provincia di Gorizia se si adottano all’economia del cormonese e del gradiscano, sono una pastoia durissima per l’agonizzante economia del Collio. La proprietà e il lavoro del Collio hanno bisogno di contratti speciali….

E viene spinto in avanti questo concetto fino a dettare  i contenuti essenziali per come dovrebbero essere i nuovi contratti, favorevoli a chi i campi e le vigne lavora:

Spostare a favore del mezzadro la divisione dei prodotti dalla metà ai due terzi e in certi casi anche  di più. Solo così si può arrivare a garantire al lavoratore quel minimo necessario di vita che lo possa incoraggiare a restare sul Collio.

Quindi, dopo una lunga disamina, con il dito puntato  nei confronti dei latifondisti nostrani, si propone una specie di patto di reciproca  mutualità, si auspica un progressivo avvicinamento delle parti in gioco, senza scossoni, in modo, diremmo, paternalistico:

…rivedere con comprensione, e soprattutto tenere presenti gli immediati interessi, i rapporti economici che attualmente si intrecciano tra proprietà e lavoro, non soltanto una duratura tranquillità ma soprattutto il pieno riconoscimento che solo attraverso  il lavoro la proprietà del Collio può e deve tramutarsi in realtà economica.

Dovranno passare ancora decenni, una guerra in mezzo, dove il Collio è stato terreno di battaglie e di scontri con le forze di liberazione, dovranno passare dei “San Martino” dolorosi per tante famiglie come quello visto con gli occhi stupiti da chi scrive nel novembre del 1954.  Ma, oggi,  finalmente, con il lavoro assurto a componente vitale dell’economia agricola, con la professionalità di chi gestisce le aziende vitivinicole, con l’attaccamento alla terra dei proprietari, il Collio è diventato quel piccolo spicchio di …”appariscente paradiso”.


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